Omelia della veglia

Vi riportiamo l’omelia di don Manuel di Sabato sera, durante la veglia pasquale. Uno spunto di riflessione e preghiera.


Gli amici e i conoscenti che hanno perso persone care in questi giorni raccontano che la pena più grande è il non aver potuto dare l’ultimo saluto al corpo della persona a cui si vuole bene. In effetti uno dei momenti più difficili dei funerali è quando arriva il momento di chiudere la bara: sai che la persona è già morta, ma il sapere che non rivedrai più quel volto è davvero difficile da gestire. Non riporta in vita nessuno, ma visitare la tomba di un defunto, onorare le sue spoglie, pregare vicini al suo corpo è una consolazione di fronte all’amarezza della morte. Negare questo gesto di pietà è molto doloroso.

La Pasqua inizia con la negazione di questo gesto: le donne vanno il mattino presto al sepolcro a venerare il corpo di Gesù. Cercano quella piccola consolazione dell’onorare un corpo defunto. Ma quando arrivano il corpo non c’è. A dire il vero l’evangelista Matteo, che abbiamo ascoltato in questa veglia, differisce un po’ rispetto agli altri tre evangelisti: racconta di una apparizione del Signore immediatamente dopo la scoperta del sepolcro vuoto e commenta che le donne se ne andarono “con timore e gioia grande”. In realtà gli altri evangelisti dicono che, quando le donne vanno al sepolcro, se ne tornano a casa impaurite perché non capiscono quello che è successo. Addirittura l’evangelista Giovanni parla di Maria Maddalena disperata: è convinta che hanno rubato il corpo di Gesù e sente tutta l’amarezza di questo estremo gesto di cattiveria. La Pasqua non inizia con una certezza, ma con un dubbio e con un’esperienza dolorosa: non si trova nemmeno il corpo di Gesù per potervi piangere, e non si sa dove sia. Il sepolcro vuoto sembra l’ennesimo gesto di scherno e di irriverenza nei confronti di Gesù. Per dirla tutta, l’evangelista Matteo, più carino nel raccontarci delle donne che se ne vanno anche con gioia dal sepolcro rispetto agli altri tre che parlano solo di paura e tristezza, dirà che quando Gesù apparirà ai suoi “essi dubitavano”.

Io questa sera non me la sento di dire di più. Lo dico a partire dalla mia poca fede: non me la sento di dire: “Che bello, in questa notte c’è speranza!”. Invidio chi riesce a dirlo con facilità. Ma purtroppo l’anno liturgico non va a pari passo con le vicende della nostra esistenza. Penso che in Gesù ci sia la luce pasquale, ma vi confesso tutta la mia fatica a vederla. E sento risentimento di fronte a tutti coloro che la fanno facile: “E’ pasqua, attacchiamoci a Gesù che è l’unica speranza”. Non che non sia vera questa frase, intendiamoci. Ma mi sembra violenta detta adesso. A me serve tempo. Io sento tante tenebre, in me e intorno a me. E non è perché il calendario indica che è Pasqua che tutto si risolve. Non me la sento di semplificare o di dire una frase consolatoria di circostanza: siamo in mezzo al dramma. E se risurrezione c’è, non si può non passare per il venerdì santo. Mi sembra che l’umanità sia ancora immersa nel venerdì santo. Vi chiedo perdono, ma mi sembra davvero irrispettoso sparare addosso due parole di circostanza: “Ma si, andrà tutto bene, Gesù è risorto”. Non sta andando tutto bene. E forse il peggio deve ancora venire. E se è vero che Gesù è risorto ed è l’unica speranza, non è facile capire cosa voglia dire in questa circostanza storica che stiamo vivendo.

Ma vorrei raccogliere un messaggio da questa veglia pasquale. Il sepolcro è vuoto. La pasqua inizia con una delusione: le donne si aspettavano di trovare il corpo defunto di Gesù per poterlo piangere, e invece devono fare i conti con un sepolcro vuoto. Noi sappiamo che questo dolore è in vista di una gioia più grande, ma all’inizio sentono la paura e la tristezza perché si sentono private di quell’ultimo briciolo di consolazione che l’esperienza della morte di Gesù sembrava consentire.
Mi sembra molto simile alla nostra esperienza, alla mia. Verrà la gioia grande, perché Dio non fa altro che consolare. Ma adesso stiamo vivendo l’esperienza dei sepolcri vuoti: non troviamo più la consolazione e la gioia dove davamo per scontato di vederla. Questo maledetto virus ci sta sparando addosso i nostri sepolcri vuoti, i luoghi dove avevamo troppo facilmente riposto la nostra speranza. E ci sentiamo dire come le donne: “Non è qui!”. Non è più qui che dobbiamo cercare. Poi capiremo il seguito, poi arriverà la scoperta che non è più lì che dobbiamo cercare perché in gioco c’è un bene più grande. Ma per ora dobbiamo attraversare il momento drammatico della delusione: non è qui! Hai sbagliato a cercare in questi sepolcri la tua speranza. Devi smetterla di farlo: non ci troverai che morte.

E mi domando: quali sepolcri questa pandemia ci sta chiedendo di smettere di visitare? Quali luoghi dove davamo per scontato che ci fosse un po’ di gioia e un po’ di consolazione, mentre stiamo scoprendo che sono vuoti? Dove dobbiamo smettere di cercare la gioia? Ognuno può mettere i suoi sepolcri. Ma alcuni sono particolarmente evidenti.

1) Il primo è l’affermazione troppo stupida “la salute è tutto”. Non è vero! E ce ne stiamo accorgendo ogni giorno che passa. O le migliaia di persone che sono morte hanno perso tutto, oppure questi giorni ci stanno chiedendo di trovare qualcosa che valga più della salute. Perché basta che un pipistrello cinese trasmetta un microorganismo ad un uomo in una città dell’estremo oriente che fino a qualche mese fa non sapevamo nemmeno esistesse, e la tua salute è minacciata. Certo che la salute va salvaguardata! E diciamo con franchezza: forse politicamente i vari governi che si sono succeduti hanno pensato troppo facilmente che sarebbe sempre andato tutto bene tagliando in modo imbarazzante sulla sanità, e oggi dobbiamo fare le collette per sostenere gli ospedali. Mi piacerebbe sognare un paese in cui le tasse che paghiamo bastino per tutelare i cittadini, e non vadano ad alimentare ingiustizie e mercato delle armi. Ma dobbiamo cercare da qualche altra parte la nostra speranza. Non basta avere un corpo che funzioni. E’ una speranza troppo fragile. E prima o poi arrivi a questo sepolcro e non ci trovi più la gioia.

2) Il secondo sepolcro vuoto che stiamo incontrando è l’economia. Ci aspetteremmo che l’economia possa salvarci. E invece in questi giorni ci stiamo incontrando con un sistema economico che chiede di essere salvato. Molto probabilmente saremo tutti più poveri dopo questi giorni. E ripeto: basta che un microorganismo grande circa cinque millesimi di millimetro infetti un uomo in Cina che la nostra azienda o l’azienda in cui lavoriamo è in ginocchio. Certo che è importante curare l’economia, ma non sarà l’economia a darci la gioia. Da essa possiamo prendere ciò che ci serve per vivere, ma nulla di più. E’ un sepolcro vuoto: se ci giochi la vita prima o poi te la mangia. E chissà che questo virus una volta buona ci convinca di un paradosso: siamo sempre convinti che il PIL crescerà sempre di più? Abbiamo costruito un’economia che ci mette in difficoltà se i profitti non crescono. Ma potranno crescere in eterno?

3) Il terzo sepolcro vuoto è la nostra solitudine. Mediamente viviamo in una società dove si è più soli e coltiviamo il mito dell’autosufficienza. Dire a qualcuno: “Io non ho bisogno di te” ci sembra sia una frase di successo. In questi giorni stiamo tutti patendo per il nostro isolamento. Ma quante energie sprechiamo per isolarci nella nostra vita? Litighiamo con i parenti, con i colleghi, con gli insegnanti dei figli, con i vicini di casa. Ci sembra che dire agli altri che non abbiamo bisogno di loro ci faccia essere più forti. In questi giorni ci scopriamo terribilmente soli: ci manca il caffè alla macchinetta con il collega, le due parole fuori dalla scuola mentre andiamo a prendere i nostri figli, ci manca il compagno di classe, magari anche il professore. Ma non è un sepolcro vuoto l’avercela con il mondo? Non è un sepolcro vuoto il rompere relazioni? L’insulto, l’arroganza, l’incapacità di perdonare, la facilità nei giudizi pesanti, i pregiudizi davvero ci portano la gioia?

4) In questi giorni il silenzio e il tempo in cui stare con noi stessi sono tanti, e la cosa può spaventarci. Non siamo capaci mediamente di silenzio. Abbiamo cercato un po’ di consolazione in quel sepolcro che è il riempirci le vite di cose da fare, per non avere la pena di metterci ad ascoltare il nostro cuore, i flussi dei nostri pensieri, le nostre ferite, le nostre nostalgie, i nostri sogni. Ci siamo anestetizzati di cose da fare. Ci stanca, ma ci sembra più sopportabile che metterci ad ascoltare noi stessi. Abbiamo sempre avanzato la scusa che non avevamo tempo. Ora abbiamo tempo, ma stiamo pregando di più? Stiamo riflettendo di più? O stiamo cercando ancora di riempirci le ore per non avere la pena di metterci in ascolto? E’ un sepolcro vuoto: non sarai mai felice se non ti sei ascoltato e passerai la vita a scappare da te stesso. In questi giorni siamo costretti a fare la guerra più dura, quella con noi stessi. Perché se c’è una possibilità di incontrare Dio non si può prescindere da noi stessi. Ma troppo spesso dedichiamo più tempo a sfuggirci che ad ascoltarci.

5) Può essere che in questi giorni balordi ci accorgiamo che ci eravamo dati risposte troppo banali sulla vita. Un ultimo sepolcro possono essere le nostre banalità. I primi giorni dell’epidemia, quando tutti pensavamo che dopo due settimane di stop a Codogno sarebbe andato tutto bene, ci ridevamo sopra. Poi abbiamo iniziato a dirci “andrà tutto bene” e altre frasi banali. Poi “dobbiamo essere responsabili”. E le istituzioni e la politica ci stanno dando un’indecente spettacolo di ricerca del colpevole. Sono tutte banalità: pensare che il male si risolva o ridendoci sopra, o negandolo o trovando il responsabile. Abbiamo sempre fatto così nella storia. Ma sono banalità. Non risolviamo il problema. Forse è tempo di porci qualche domanda un po’ più consistente: perché il male? Perché sono su questa terra? Cosa è il bene comune? Chi è Dio? Che senso ha la mia esistenza? Dove vanno i miei giorni? Se passiamo il tempo a cercare responsabili o a scaricare il problema troveremo solo sepolcri vuoti.

E’ una pasqua davvero strana e insolita. Non per questo meno vera. Ma ci vuole pazienza per cercare e trovare il Signore risorto. E forse il primo passaggio è smetterla di cercarlo nei sepolcri vuoti. Non è lì, è risorto.

Buona Pasqua a tutti.